Spiegazione delle parabole di Gesù

(020)

L'avarizia e il ricco stolto (276.6)

Costui, come molti, confondeva il corpo con l’anima e mescolava il sacro al profano, perché realmente nelle gozzoviglie e nell’ozio l’anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di aver fatto tutto.
Ma non sapete che posta la mano all’aratro occorre perseverare uno e dieci e cent’anni, quanto la vita dura, perché fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perché chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Ché se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. E’ un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo. (…) In verità vi dico che così capita a chi tesoreggia per sé e non arricchisce agli occhi di Dio.  (…)
Credete, che solo di questo arricchimento di virtù occorre preoccuparsi. E badate: non sia mai la vostra una preoccupazione affannosa, inquieta. Il Bene è nemico delle inquietudini, delle paure, delle frette che troppo risentono ancora di avarizia, di gelosia, di diffidenza umana.
Il vostro lavoro sia costante, fiducioso, pacifico. Senza brusche partenze e bruschi arresti. Così fanno gli onagri selvaggi. Ma nessuno li usa.
Pacifici nelle vittorie, pacifici nelle sconfitte. Anche il pianto di un errore fatto, che vi addolora perché con esso errore avete spiaciuto a Dio, deve essere pacifico, confortato dall’umiltà e dalla fiducia. L’accasciamento, il rancore verso sé stesso è sempre sintomo di superbia e così anche di sfiducia. Se uno è umile sa di essere un povero uomo soggetto alla miserie della carne che talora trionfa. Se uno è umile ha fiducia non tanto in sé quanto in Dio e sta calmo anche nelle disfatte dicendo: “Perdonami, Padre: Io so che Tu sai la mia debolezza che mi prevale talora. Io credo che Tu mi compatisci. Io ho ferma fiducia che Tu mi aiuterai in avvenire ancor più di prima, nonostante io ti soddisfi così poco”. E non siate né apatici né avari dei beni di Dio. Di quanto avete di sapienza e virtù, date. Siate operosi nello spirito come gli uomini lo sono per le cose della carne. E riguardo alla carne non imitate quelli del mondo che sempre tremano per il loro domani, per paura che manchi loro il superfluo, che la malattia venga, che venga la morte, che i nemici possano nuocere e così via.
Dio sa di che abbisognate. Non temete perciò per il vostro domani. Siate liberi dalle paure più pesanti delle catene dei galeotti. Non vi prendete pena della vostra vita, né per il magiare, né per il bere, né per il vestire. La vita dello spirito è da più di quella del corpo e il corpo è da più del vestito, perché col corpo e non col vestito voi vivete e con la mortificazione del corpo aiutate lo spirito a conseguire la vita eterna. Dio sa fino a quando lascerà l’anima nel corpo, e fino a quell’ora vi darà ciò che è necessario. (…)
Voi sì che da soli non potete aggiungere un dente alle bocche sdentate, né allungare di un pollice la gamba rattratta, né dare acutezza alla pupilla annebbiata. E se non potete fare queste cose potete pensare di poter respingere da voi miseria e malattia e far spuntare cibo dalla polvere? Non potete. Ma non siate gente di poca fede. Avrete sempre di che vi è necessario. Non vi preoccupate come le genti del mondo che si arrabattano per provvedersi di che godere. Voi avete il Padre vostro  che sa di che abbisognate. Voi dovete cercare, e sia la prima delle vostre cure, il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in più.