Le parabole di Gesù

(001)

La parabola del cavallo ribelle (61.1)

Udite questa parabola. Vi aiuterà a capire.
Un re aveva molti e molti splendidi cavalli nelle scuderie. Ma uno ne amava di speciale amore. Lo aveva vagheggiato prima ancora di averlo; poi, avutolo, lo aveva posto in luogo di delizie, e ad esso andava, con l'occhio e con il cuore, riguardando quel suo prediletto, sognando di farne la meraviglia del suo reame.
E quando il cavallo, ribellandosi ai comandi, aveva disubbidito ed era fuggito sotto altro padrone, pur nel suo dolore e nel suo rigore, il re aveva promesso al ribelle perdono dopo il castigo.
E fedele a questo, pur da lontano, sul suo prediletto vegliava, mandandogli doni e custodi che lo tenessero col suo ricordo nel cuore. Ma il cavallo, pur soffrendo nel suo esilio dal regno, non era costante, come lo era il re, nell'amare e nel volere il perdono completo.
E a tratti era buono, a tratti cattivo; nè il buono era maggiore del cattivo. Anzi l'opposto era. Eppure il re pazientava e con rimproveri e con carezze cercava fare del suo cavallo più caro un docile amico.
Più il tempo passava, più la bestia si faceva restia. Invocava il suo re, piangeva per la sferza degli altri padroni, ma non voleva essere veramente del re. Non aveva la volontà d'esserlo.
Sfinito, oppresso, gemente, non diceva: <Per colpa mia sono tale>, ma ne faceva accusa al suo re. Questo dopo aver tutto tentato, ricorse alla sua ultima prova. <Finora> disse <ho mandato messi e amici. Or manderò il mio stesso figlio. Egli ha il mio stesso cuore e parlerà con l'amore mio stesso, e avrà carezze e doni simili a quelli che io avevo, anzi più dolci ancora, perchè mio figlio è me stesso, ma sublimato nell'amore>
E mandò il figlio.

(Spiegazione)