Le parabole di Gesù

(003)

Parabola del seminatore (179.5 - 179.6)

"Udite e forse capirete meglio come possano esservi diversi frutti ad una stessa opera.
Un seminatore andò a seminare, I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri erano un suo acquisto: li aveva comperati così come erano da un negligente, e tali li aveva lasciati. Altri ancora erano stati intersecati da strade, perchè l'uomo era una grande comodista e non voleva fare molta strada per andare da un luogo all'altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.
L'uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato, dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da vie e viette che li spezzettavano tutti, portando inoltre bruttura di polvere arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove l'inettitudine dell'uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose. Ora l'aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c'erano, perchè solo il fuoco, la radicale distruzione della male piante, impedisce il loro rinascere.
L'ultimo seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul quale non avevano presa le tenere radici.
E poi, sparso tutto il seme, se ne tornò a casa e disse: "Oh! bene! Ora non c'è che da attendere la raccolta". E si beava perchè col passare dei mesi vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e crescere....oh! che soffice tappeto! e spighire.... oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l'osanna del sole.
L'uomo diceva: "Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pane! Quanto oro!" E si beava....
Segò il grano dei campi più vicini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perchè i campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile. Ma la stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spinose, travolte ma non sterilite.
Esse erano rinate ed avevano fatto un vero soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso i quali il grano non aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.
L'uomo disse: "Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio."
E passò ai campi di recente acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai dissecate, foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco. "Ma come? Ma come?" gemeva l'uomo. "Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perchè allora tutto è morto senza fare spiga?"
E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne erano. Ma quanti, quanti sassi! Una pietraia! I campi erano letteralmente selciati di scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito l'aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quando gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile rammarico.
L'uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per comodità.... E si strappò le vesti dal dolore. Qui non c'era nulla, assolutamente nulla.... La terra scura del campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca.... L'uomo si accasciò al suolo gemendo: "Ma qui perchè? Qui non spine e non sassi perchè sono campi nostri. L'avo, il padre, io, li abbiamo sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterile così...."
Piangeva ancora quando ebbe la risposta al suo dolore da un fitto sciame d'uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi.... Il campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto il grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all'ultimo chicco.
Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla.
Chi ha orecchie da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace sia con voi."

(Spiegazione)