Le parabole di Gesù

(007)

Il figliol prodigo (da 205.3 a 205.6)

Un uomo aveva due figli. Il maggiore era serio, lavoratore, affezionato, ubbidiente. Il secondo era intelligente più del maggiore, che in verità era un poco ottuso e si lasciava guidare per non avere da affaticarsi e decidere da sè, ma in compenso era anche ribelle, svagato, amante del lusso e del piacere, dissipatore e ozioso. L'intelligenza è un grande dono di Dio. Ma è un dono che va usato saggiamente. Altrimenti è come certi farmaci i quali usati in mal modo non sanano ma uccidono.
Il padre, era nel suo diritto e nel suo dovere, lo richiamava a vita più saggia. Ma senza alcun utile, tolto quello di averne male risposte e un maggior irrigidimento del figlio nelle proprie cattive idee.
Infine un giorno, dopo una disputa più fiera, il figlio minore disse: "Dammi la mia parte dei beni. Così non sentirò più i tuoi rimproveri e i lagni del fratello. Ognuno il suo e sia finito tutto".
"Guarda" rispose il padre, " che presto sarai rovinato. Che farai allora? Pensa che io non sarò ingiusto in favore di te e non riprenderò un picciolo a tuo fratello per darlo a te".
"Non ti chiederò nulla. Sta' sicuro. Dammi la mia parte."
Il padre fece stimare le terre e le cose preziose e, visto che denaro e gioielli facevano tanto quanto le terre, dette al maggiore i campi e i vigneti, le mandre e gli ulivi, e al minore il denaro e i gioielli che il giovane vendette subito mutando tutto in denaro. E fatto questo, in pochi giorni, se ne andò in lontano paese dove visse da gran signore, scialacquando tutto il suo in bagordi di ogni specie, facendosi credere un figlio di re perchè si vergognava di dire "sono campagnolo", rinnegando perciò il padre suo. Festini, amici e amiche, vesti, vini, giuoco....vita dissoluta... Presto vide scemare la sostanza e venire avanti la miseria. E con la miseria, a farla più grave, venne nel paese una grande carestia che dette fondo ai resti della sostanza.
Avrebbe voluto andare dal padre. Ma era superbo e non volle. Andò allora da un riccone del paese, già suo amico nei tempi buoni, e lo pregò dicendo: "Accoglimi tra i tuoi servi in ricordo di quando godesti delle mie dovizie".
Vedete voi come è stolto l'uomo! Preferisce mettersi sotto la frusta di un padrone anzichè dire ad un padre: "Perdono! Ho sbagliato!" Quell'uomo aveva imparato tante cose inutili con la sua intelligenza aperta, ma non aveva voluto imparare il detto dell'Ecclesiastico: <Quanto è infame colui che abbandona il padre suo e quanto è maledetto da Dio chi fa inquietare la madre>. Era intelligente, ma non sapiente.
L'uomo a cui si era rivolto, in cambio del molto che aveva goduto dal giovane stolto, mise questo stolto di guardia ai porci - perchè si era in un paese pagano e vi erano molti porci - e lo mandò a pasturare nei suoi possessi le mandre dei porci. Lurido, stracciato, puzzolente, affamato - perchè il cibo era scarso per tutti i servi e specie per i più infimi, e lui, straniero mandriano di porci e deriso era ritenuto tale - vedeva i porci satollarsi delle ghiande, e sospirava: "Potessi io pure empirmi il ventre di questi frutti! Ma sono troppo amari! Neppure la fame me li fa parere buoni". E piangeva pensando ai ricchi festini da satrapo fatti poco tempo prima fra risa, canti, danze... e pensava poi agli onesti pranzi ben nutriti della sua casa lontana, alle porzioni che il padre faceva a tutti imparzialmente, serbando per sè sempre il meno, lieto di vedere il sano appetito dei suoi figli... e pensava anche alle parti fatte ai servi da quel giusto e sospirava: "I garzoni di mio padre, anche gli infimi, hanno pane in abbondanza... e io qui muoio di fame..."
Un lungo lavoro di riflessione, una lunga lotta per strozzare la superbia... infine venne il giorno che, rinato nell'umiltà e nella sapienza, sorse in piedi e disse: "Io vado dal padre mio! E' stolto questo orgoglio che mi fa prigione. E di che? Perchè soffrire e nel corpo e più nel cuore mentre posso avere perdono e sollievo? Vado dal padre mio. E' detto. Che gli dirò? Ma quello che è nato qui dentro, in questa abbiezione, fra queste lordure, fra i morsi della fame! Gli dirò: <Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami perciò come l'infimo dei tuoi garzoni, ma sopportami sotto il tuo tetto. Che io ti veda passare.... > non potrò dirgli: <... perchè ti amo>. Non lo crederebbe. Ma lo dirà la mia vita, ed egli lo comprenderà, e prima di morire mi benedirà ancora... Oh! lo spero. Perchè mio padre mi ama".
E tornato la sera in paese si licenziò dal padrone, e mendicando per via tornò a casa sua.
Ecco i campi paterni... e la casa... e il padre che dirigeva i lavori, invecchiato, scarnito dal dolore ma sempre buono.. Il colpevole guardando quella rovina causata da lui si fermò intimorito... ma il padre, girando l'occhio, lo vide e gli corse incontro, perchè era ancora lontano, e raggiuntolo gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Solo il padre aveva riconosciuto in quel mendicante avvilito la sua creatura e solo lui aveva avuto un movimento di amore.
Il figlio, stretto fra quelle braccia, con il capo sulla spalla paterna, mormorò fra i singhiozzi: "Padre, lascia che io mi getti ai tuoi piedi:" "No, figlio mio! Non ai piedi. Sul mio cuore che ha tanto sofferto della tua assenza, e che ha bisogno di rivivere col sentire il tuo calore sul petto."
E il figlio, piangendo più forte, disse: "Oh! padre mio! Io ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato da te: figlio. Ma permettimi di vivere fra i tuoi servi, sotto il tuo tetto, vedendoti, mangiando il tuo pane, servendoti, bevendo il tuo alito. Ad ogni boccone di pane, ad ogni tuo respiro si riformerà il mio cuore tanto corrotto e diverrò onesto...."
Ma il padre, tenendolo sempre abbracciato, lo condusse verso i servi che si erano ammucchiati in distanza e che osservavano, e disse loro: "Presto, portate qui la veste più bella, e catini di acque odorose, lavatelo, profumatelo, rivestitelo, mettetegli dei calzari nuovi e un anello al dito. Poi prendete un vitello ingrassato e ammazzatelo. E si prepari un banchetto. Perchè questo figlio mio era morto ed ora è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato. Io voglio che ora lui pure ritrovi il suo semplice amore di pargolo; e il mio amore, e la festa della casa per il suo ritorno glielo devono dare. Deve capire che egli è sempre per me il caro bambino ultimo nato, quale era nell'infanzia sua lontana, quando mi camminava al fianco facendomi beato col suo sorriso e il suo balbettio". E così fecero i servi.
Il figlio maggiore era in campagna e non seppe nulla fino al suo ritorno. A sera, venendo verso casa, la vide luminosa di lumi, e udì suoni di strumenti e danze uscire da essa. Chiamò un servo che correva indaffarato e disse: "Cha avviene?" E il servo rispose: "E' tornato tuo fratello! Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perchè ha riavuto il figlio e sano, guarito dal suo grande male, ed ha ordinato banchetto. Non si attende che te per cominciare". Ma il primogenito, in collera perchè gli pareva ingiustizia tanta festa per il minore che oltre che minore era stato cattivo, non volle entrare, e anzi fece per allontanarsi da casa.
Ma il padre, avvertito di questo, corse fuori e lo raggiunse tentando di convincerlo e pregandolo di non amareggiargli la sua gioia. Il primogenito rispose al padre suo: "E vuoi che io non sia inquieto? Tu fai ingiustizia e spregio al tuo primogenito. Io da quando ho potuto lavorare ti ho servito, e sono molti anni. Io non ho mai trasgredito ad un tuo comando, neppure ad un tuo desiderio. Io ti sono sempre stato vicino, e ti ho amato per due per farti guarire dalla piaga fatta da mio fratello. E tu non mi hai mai dato neppure un capretto per godermelo con gli amici. Questo, che ti ha offeso, che ti ha abbandonato, che è stato infingardo e dissipatore e che torna ora perchè è spinto dalla fame, tu lo onori e per lui ammazzi il vitello più bello. Vale la pena essere lavoratori e senza vizi! Questo non me lo dovevi fare!"
Il padre disse allora stringendoselo al seno: "Oh! Figlio mio! E puoi credere che io non ti ami perchè non stendo un velo di festa sulle tue azioni? Le tue azioni sono sante di loro, e il mondo ti loda per esse. Ma questo tuo fratello, invece, ha bisogno di essere rialzato nella stima del mondo e nella stima sua stessa. E credi tu che io non ti ami perchè non ti dò un premio visibile? Ma mattina e sera e in ogni mio alito e pensiero tu sei presente al mio cuore, e ad ogni attimo io ti benedico. Tu hai il premio continuo di essere sempre con me, e tutto quanto è mio è tuo. Ma era giusto banchettare e fare festa per questo tuo fratello che era morto ed è risuscitato, che era perduto ed è stato ritornato al nostro amore".
Il primogenito si arrese.

(Spiegazione)