Le parabole di Gesù

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Parabola della visita del re potente (489.4)

Un re potente, il cui regno era molto vasto, volle venire un giorno a visitare i suoi sudditi. Egli abitava in una reggia eccelsa dalla quale, per mezzo dei suoi servi e messaggeri, mandava i suoi ordini e i suoi benefici ai sudditi che perciò sapevano della sua esistenza, dell'amore che aveva per essi, dei suoi propositi, ma non lo conoscevano affatto di persona, non sapevano la sua voce e il suo linguaggio. In una parola sapevano che c'era ed era il loro Signore, ma nulla più.
E, come sovente avviene, per questo fatto molte delle sue leggi e delle sue provvidenze venivano svisate, o per mala volontà o per incapacità di comprenderle, tanto che gli interessi dei sudditi e i desideri del re, che li voleva felici, ne subivano danno. Egli era costretto a punirli talora e ne soffriva più di loro. E le punizioni non cagionavano miglioramento. Disse allora: "Io andrò. Parlerò direttamente a loro. Mi farò conoscere. Mi ameranno e mi seguiranno meglio e diverranno felici". E lasciò la sua eccelsa dimora per venire fra il suo popolo.
Molto stupore cagionò la sua venuta. Il popolo si commosse, si agitò, chi con giubilo, chi con terrore, chi con ira, chi con diffidenza, chi con odio. Il re, paziente, senza stancarsi mai, si pose ad avvicinare tanto chi l'amava come chi lo temeva, come chi lo odiava. Si pose a spiegare la sua legge, ad ascoltare i suoi sudditi, a beneficarli, a sopportarli. E molti finirono ad amarlo, a non sfuggirlo più perchè troppo grande: qualcuno, pochi, cessò anche di diffidare e di odiare. Erano i migliori. Ma molti rimasero ciò che erano non avendo buona volontà in loro. Ma il re, che era molto saggio, sopportò anche questo rifugiandosi nell'amore dei migliori per avere premio delle sue fatiche.
Però, che avvenne mai? Avvenne che anche fra i migliori non tutti lo compresero. Veniva da tanto lontano! Il suo linguaggio era così nuovo! Le sue volontà così diverse da quelle dei sudditi! E non fu capito da tutti.... Anzi alcuni gli dettero dolore, e col dolore gli procurarono nocumento, o almeno rischiarono di procurarglielo, per averlo mal capito. E quando compresero di avergli dato pena e danno, fuggirono desolati dal suo cospetto, nè più andarono a lui temendo la sua parola.
Ma il re aveva letto nei loro cuori e ogni giorno li chiamava col suo amore, pregava l'Eterno di concedergli di ritrovarli per dire loro: "Perchè mi temete? E' vero. La vostra incomprensione mi ha dato dolore, ma l'ho vista senza malizia, frutto soltanto di incapacità a comprendere il mio linguaggio tanto diverso dal vostro. Ciò che mi addolora è il vostro temermi. Ciò mi dice che non solo non mi avete capito come re, ma anche come amico. Perchè non venite? Tornate dunque. Ciò che la gioia di amarmi non vi aveva fatto comprendere, ve lo ha reso chiaro il dolore di avermi dato dolore. Oh! venite, venite, amici miei. Non aumentate le vostre ignoranze col starmi lontano, le vostre caligini col nascondervi, le vostre amarezze coll'interdirvi il mio amore. Vedete? Soffriamo tanto io che voi ad essere divisi. Più ancora io che voi. Venite dunque e datemi gioia."

(Spiegazione)