Le parabole di Gesù

(054)

Il valore che il giusto dà ai consigli (572.4 - 572.5)

Il re mandò il suo figlio diletto a visitare il suo regno. Il regno di questo re era diviso in molte provincie, essendo vastissimo. Queste provincie avevano diversa conoscenza del loro re. Alcune lo conoscevano tanto da ritenersi le predilette e da andare in superbia per questo. Secondo queste esse solo erano perfette e a conoscenza del re e di ciò che il re voleva. Altre lo conoscevano ma, senza pensarsi sapienti per questo, si industriavano di conoscerlo sempre di più. Altre avevano la conoscenza del re ma lo amavano a modo loro, essendosi date un codice speciale che non era il vero codice del regno. Del vero codice avevano preso ciò che ad esse piaceva e sin dove piaceva, e poi avevano lesionato anche quel poco, con mescolanze di altre leggi prese da altri reami, o datesi da loro stesse, e non buone. No. Non buone. Altre ancora erano ancor più ignoranti del loro re, e alcune sapevano solo che c'era un re. Non più di questo. Ma credevano anche questo poco una favola.
Il figlio del re venne a visitare il regno del padre suo per dare a tutte le diverse regioni una esatta conoscenza del re, qui correggendo le superbie, là rialzando gli avvilimenti, altrove raddrizzando concetti sbagliati, più oltre persuadendo a levare gli elementi impuri dalla legge pura, qui insegnando per colmar le lacune, là istruendo per dare un minimo di cognizione e di fede in questo re reale in cui ogni uomo era suddito.
Questo figlio del re pensava però che prima lezione per tutti era l'esempio di una giustizia conforme al codice sia nelle parti gravi che nelle cose minori. Ed era perfetto. Tanto che la gente di buona volontà migliorava se stessa perchè seguiva sia le azioni che le parole del figlio del re, essendo le sue parole e le sue azioni un'unica cosa tanto le une corrispondevano alle altre senza dissonanza.
Quelli però delle provincie che si sentivano perfette solo perchè sapevano alla lettera le lettere del codice, ma non ne possedevano lo spirito, vedevano che dall'osservanza di ciò che faceva il figlio del re e di ciò che egli esortava a fare, troppo chiaramente risultava che essi conoscevano le lettere del codice ma non possedevano lo spirito della legge del re, e che perciò veniva smascherata la loro ipocrisia. Allora pensarono di levare di mezzo ciò che li facevano apparire quali erano. E per far questo usarono due vie. Una contro il figlio del re, l'altra contro i suoi seguaci. Al primo mali consigli e persecuzioni. Ai secondi mali consigli e intimidamenti. Sono mali consigli tante cose. E' mal consiglio il dire: "Non fare questo che ti può nuocere", fingendo interessamento buono, ed è mal consiglio il perseguitare, per persuadere colui che si vuol traviare a mancare alla sua missione. E' mal consiglio il dire ai seguaci: "Difendete ad ogni costo e con ogni mezzo il giusto perseguitato", ed è mal consiglio il dire ai seguaci: "Se voi lo proteggete incontrerete il nostro sdegno".
Ma non parlo qui dei consigli dati ai seguaci. Parlo dei consigli dati al figlio del re e fatti dare. Con falsa bonomia, con livido odio, o per la bocca di ignari strumenti, mossi a nuocere credendo di esser mossi a giovare.
Il figlio del re li ascoltò questi consigli. Aveva orecchi, occhi, intelletto e cuore. Non poteva perciò non sentirli, non vederli, non intenderli e misurarli. Ma il figlio del re aveva soprattutto uno spirito retto di vero giusto e ad ogni consiglio, dato scientemente o inconsciamente per farlo peccare dando cattivo esempio ai sudditi del padre suo e infinito dolore al padre suo, rispose: "No. Io faccio ciò che vuole il padre mio. Io seguo il suo codice. L'esser figlio del re non mi esime dall'essere il più fedele dei suoi sudditi nell'osservanza della Legge. Voi che mi odiate e mi volete impaurire, sappiate che nulla mi farà violare la Legge. Voi che mi amate e mi volete salvare sappiate che io vi benedico per questo vostro pensiero, ma sappiate anche che il vostro amore e l'amore che vi voglio, perchè a me più fedeli di quelli che si dicono <sapienti>, non mi deve fare ingiusto nel mio dovere verso il più grande amore che è quello che va dato al padre mio".